giovedì 21 giugno 2007

Colloquio con Julia Butterfly Hill di Daniele Fanelli

Aveva ventitré anni quando, nel 1997, salì su una sequoia californiana per impedirne l'abbattimento. E ne aveva venticinque quando toccò di nuovo terra, dopo che la locale compagnia di legname ebbe ceduto alle sue richieste, impegnandosi a proteggere quell'albero e un po' di foresta circostante. Celebre da allora in tutto il mondo, Julia Butterfly Hill è una delle figure più affascinanti dell'attivismo ecologista. Scrittrice e poetessa, il libro in cui racconta la sua battaglia è diventato un best seller internazionale, e sarà presto soggetto di un film. Nel 1999 ha fondato la "Circle of Life", che si occupa di ambiente e diritti umani promuovendo campagne internazionali di sensibilizzazione ed educazione.
È stata ospite, a Torino, del recente Vegfestival (celebrazione dello stile di vita "vegano", che evita qualsiasi prodotto animale) dove con umorismo ha illustrato la sua attività e il suo credo ecologista. Mangia solo prodotti vegetali da più di 18 anni e consiglia a chiunque di fare altrettanto. Ma riconosce qualche eccezione: «Lavoro anche con le comunità indigene in Alaska», ha spiegato coraggiosamente al pubblico presente: «E per loro la dieta carnivora è senz'altro la più sostenibile». Una posizione, questa, tanto più interessante in quanto espressa da una figura di riferimento dell'attivismo animalista.


Ammette altre eccezioni alla regola di non mangiare animali?
«Per la maggior parte di noi, e per la maggior parte delle stagioni, la scelta vegana è la più sostenibile. Nel nostro mondo industrializzato, la maggior parte delle persone ha il privilegio di scegliere cosa mangiare, e può quindi cercare di camminare il più possibile "in punta di piedi" nel mondo, adottando una dieta vegana. Ma, ad esempio, ci sono aree in cui i vegetali d'inverno non crescono. Produrli o trasportarli da lontano avrebbe un impatto ecologico eccessivo. Dunque, per le persone che vivono in queste zone e che sono prive di mezzi, vivere dei prodotti della terra può non essere la scelta migliore. Io stessa sono cresciuta in una famiglia molto povera. Avevamo degli amici che vivevano in campagna, e che a volte cacciavano i cervi. Usavano ogni parte dell'animale, e ne davano delle porzioni anche a noi. E quella carne per noi era davvero necessaria. Anche molte scelte fatte in ambito vegano non sono realmente sostenibili. Perché sono basate sull'economia del petrolio, che è destinata al collasso. Per queste mie idee, io sono considerata una radicale persino da alcuni vegani».

Se esistono eccezioni al non nutrirsi di selvaggina, allora non potrebbero essercene alla caccia in generale? Per causa nostra, oggi molte popolazioni animali sono fuori controllo, e secondo molti la caccia aiuta a mantenere l'equilibrio perso.
«In questo genere di situazioni, occorre pensare più criticamente. Se qualcosa è fuori controllo, è perché il sistema nel suo complesso è squilibrato. Anche negli Usa, ad esempio, le malattie si stanno diffondendo fra i cervi, che sono troppi in quanto ne abbiamo eliminato i predatori. Ma la risposta non è cacciare i cervi. La risposta è tentare di ripristinare l'equilibrio dell'ecosistema, reintroducendo i predatori».

Che cosa pensa invece di quegli attivisti che liberano animali esotici da pelliccia nel nostro ecosistema, causando ulteriore squilibrio ambientale?
«Permettere che gli animali siano torturati per produrre pellicce è inaccettabile. Ma non è nemmeno molto compassionevole liberare questi animali in un ambiente per loro innaturale. Dovrebbero essere liberati dalla tortura, ma vivere in un ambiente a loro consono. Soprattutto quando siamo giovani e con la testa calda, non pensiamo molto criticamente, e rischiamo fare le cose più stupide. Quindi, penso che sia necessario spiegare meglio questo genere di problemi agli attivisti».

C'è chi, almeno in questi casi, parlerebbe di estremismo…
«La gente li chiama estremisti perché infrangono le proprietà e liberano gli animali. Definiscono persino me un'estremista, perché ho "occupato" un albero per due anni. Ma è quello che sta accadendo al nostro mondo, che è estremo. È estremo torturare gli animali. È estremo radere al suolo antichissime foreste. Non andiamo in giro a rischiare la vita e la libertà per divertimento. Lo facciamo per cercare di rimettere le cose in equilibrio. Ma è vero che, appassionandoci e infuriandoci per i problemi che abbiamo di fronte, non sempre pensiamo a sufficienza in termini di lungo periodo prima di agire».

La Gran Bretagna in questi giorni è teatro di una guerra aperta fra governo e gruppi di animalisti che vogliono impedire la vivisezione. Quale è la sua posizione? «Molti dottori e scienziati hanno dichiarato in modo inequivocabile che sperimentare sugli animali non aiuta l'umanità quanto si pensa, specialmente in confronto ai danni che causa agli animali stessi. Grazie all'avanzamento delle tecnologie, ci sono oggi modi di migliorare la salute umana senza torturare gli animali. E da un punto di vista ambientalista, mi fa infuriare il fatto che non si investa più danaro per comprendere quali siano le cause delle nostre malattie».

Ma se la vivisezione fosse davvero inutile, non credo che sarebbe impiegata così spesso…
«Si, ma adesso è usata per sperimentare farmaci e sostanze chimiche di cui non avremmo bisogno. Spendiamo miliardi di dollari torturando animali per creare medicine che la maggior parte delle persone non può permettersi. E lo facciamo per rimediare a danni che ci causiamo da soli: con le sostanze tossiche che rilasciamo nell'ambiente e i nostri stili di vita non salutari. In California c'è adesso una legge per cui gli edifici pubblici costruiti con determinate sostanze chimiche note per essere cancerogene, sono obbligati a esporre un cartello che lo dichiara. Si tratta di sostanze presenti nelle vernici, nei prodotti per la pulizia, persino nei nostri letti. Se la stessa legge fosse applicata alle case private, praticamente tutte le case statunitensi, e probabilmente anche quelle italiane, dovrebbero esporre dei cartelli che dichiarano "Questa casa ha sostanze chimiche note per causare il cancro". Nessun animale ha bisogno di essere torturato per capire cosa stia causando le malattie del nostro mondo».


E cosa pensa degli Ogm?
«Mi terrorizzano. Perché il laboratorio in cui stiamo sperimentando gli Ogm è il nostro pianeta. E stiamo usando noi stessi come cavie. Questi prodotti sono analizzati in laboratori e in situazioni controllate. Così si dichiara che sono sicuri, e vengono liberati nell'ambiente, che è invece un laboratorio in cui non sono ancora stati provati. Di tanti farmaci si è detto che erano sicuri; poi, una volta immessi sul mercato, la gente ha cominciato a morirne e sono stati ritirati. Ma non possiamo ritirare gli Ogm, una volta che si siano diffusi nell'ambiente. Alcuni di questi prodotti si sono già dimostrati nocivi alla salute o agli ecosistemi. E io applaudo chiunque agisca per fermare questa macchina di distruzione».


Alcuni affermano di voler modificare il riso, ad esempio, per aggiungervi proteine in modo da combattere la fame nel mondo…
«Perché invece non ci occupiamo del fatto che in alcune nazioni si muore di obesità e in altre di fame? Sarebbe molto più utile che non modificare geneticamente del riso per inserirvi le proteine. Ma come per la caccia, è un approccio sistemico che non vogliamo adottare».


Da laureata in economia, in quale misura pensa che il libero mercato sia compatibile con le politiche per cui si batte?
«Se avessimo un mercato equo, io lo sosterrei. Ma il nostro mercato non è equo, perché non è davvero libero. È libero solo per poche grandi corporazioni, che ricevono sussidi in tutto il mondo, per fare cose terribili. Sono a favore dell'economia, ma contro il capitalismo. Sono cose ben diverse. I termini economia ed ecologia hanno la stessa radice
"eco-" che significa casa. Economia letteralmente significa "prendersi cura del proprio posto". Se avessimo un sistema in cui ci si arricchisce occupandosi della Terra e degli altri, allora vorrei che le persone facessero quanti più soldi possibile. Non credo che, prendendosi cura del pianeta, le persone si arricchirebbero tanto da comprarsi ville da milioni di dollari. Ma questo sistema è comunque non sostenibile. E i soldi sono un mito, non una cosa reale. Per lungo tempo gli uomini hanno commerciato per migliorare le loro vite. Si sono scambiati quei beni e quei servizi che non erano disponibili nella loro
comunità. Ma oggi non stiamo più soddisfacendo il bisogno, bensì l'avidità. E così distruggiamo ciò che ci occorre per vivere».


Per tornare indietro, bastano la sensibilizzazione e l'attivismo del popolo, o servono interventi a un livello più alto?
«Penso che debba accadere in entrambi i modi. I boicottaggi organizzati dai consumatori hanno prodotto grandi cambiamenti, ma in certi casi hanno solo fatto trasferire l'impatto delle nostre attività in quei paesi dove la gente non ha il privilegio di scegliere cosa consumare, o il privilegio di votare in democrazia».

Lei è religiosa?
«Mio padre era un predicatore ambulante, e io sono stata cresciuta come cristiana. Poi, a quattordici anni, ho attraversato un percorso molto travagliato, che mi ha portato verso una vita spirituale molto profonda, che però non rientra nei confini di una religione. Penso che la vita sia sacra. E vivo la mia esistenza onorando questa sacralità. E prego tutti i giorni. Vedo grande verità e saggezza in tutte le religioni. Ma mi spaventa il potere che esse hanno nel controllare le persone, e nel chiudere loro gli occhi».


Se non altro, adesso i religiosi dicono al presidente Bush di "preservare il giardino dell'Eden".
«Si, è una cosa molto promettente. Bush è un presidente talmente cattivo, che persino le persone più religiose e meno coinvolte politicamente stanno prendendo posizioni molto decise. Parliamo di leader di chiese enormi. Uno di questi leader, che guida una congregazione di 20 mila persone in California, ha dichiarato che l'amministrazione Bush, in quanto cristiana, dovrebbe sottoscrivere il protocollo di Kyoto. E in conseguenza di queste posizioni, le affermazioni di Bush sul riscaldamento globale sono cambiate completamente. Non sono ancora cambiate le sue azioni, ma questo dovrà accadere presto. Non puoi dire certe cose a lungo, senza che la gente poi te ne chieda conto».

Come teme e come spera che il mondo sarà fra cinquanta anni? È una domanda che le fanno tutti, immagino.
«Si, ma è una domanda che amo, perché dimostra come tutti ci inganniamo quando pensiamo al futuro. Se dico alle persone che c'è speranza per il futuro, loro la useranno come scusa per non muovere le chiappe e fare qualcosa. E se invece dico che non c'è speranza, ugualmente sarà un motivo per non fare niente. Tendiamo a ingannarci pensando che qualcosa di inevitabile ci aspetti alla fine della strada. Ma quel qualcosa è creato oggi, dalle miriadi di scelte che facciamo a ogni istante».

Daniele Fanelli


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