giovedì 31 maggio 2007

"Ma cosa mangi, erba?" - Sopravvivenza vegan in un mondo carnivoro - di Lorenzo

“Ma cosa mangi, erba?”. E’ la domanda che immancabilmente ogni vegan, a tavola, sente rivolgersi dai commensali dopo aver rivelato loro la propria scelta alimentare. La domanda è invariabilmente preceduta, nell’ordine, da questo tragicomica sequenza di domande:
“Sei Veg… che? e che cos’è?” - (si comincia bene…);
“Ok, non mangi la carne, ma il pesce lo mangi?” - (il dualismo carne-pesce emerge sempre nella mente dell’onnivoro, sembra che proprio non riesca ad andare oltre);
“Cosa? Non mangi nemmeno latte, formaggio, uova?” - (con il terrore negli occhi). Segue, pronunciata con sorriso ironico di commiserazione, la fatidica battuta sull’erba. Mah!
Quando, nel 2006, ho iniziato a seguire un’alimentazione di tipo vegano, mi sono quasi subito reso conto di due cose: la prima, che sarebbe stato entusiasmante cambiare in modo radicale le mie abitudini alimentari; la seconda, che sarebbe stato frustrante provare a far capire agli “altri” le ragioni della mia scelta.
Chi condivide con me lo stile di vita vegan sa a cosa mi riferisco: trovare informazioni nutrizionali e ricette di prodotti di origine esclusivamente vegetale, nell’epoca dell’informazione e di internet, è alla portata di tutti; i prodotti stessi, poi, sono reperibili comunemente nei supermercati e non si discostano, nella gran parte dei casi, da quelli di cui l’uomo si è sempre cibato. Tutto semplice allora, si direbbe. Tutt’altro.
Chi è vegan sa che, nel corso della giornata, dovrà comunque sempre rendere conto agli altri della propria scelta. La società non perdona la scelta vegan. Fondamentalmente, la teme. La condanna e la osteggia, prima ancora di conoscerla. Non ci si illuda che possa capirla, salvo rare eccezioni.
Il primo ostacolo: i familiari. Con loro si condividono, normalmente, i pasti. Provo invidia per le famiglie in cui tutti i componenti abbracciano e condividono l’alimentazione vegan. Più frequenti sono i casi in cui le diverse scelte alimentari in famiglia diventano motivo di incomprensione e di scontro. Spesso anche di scontro generazionale. Il classico esempio è il figlio o la figlia aspirante vegan che rivendica in famiglia le ragioni della propria scelta alimentare. Ben difficilmente i genitori, legati ad una cultura tradizionale che vede nel consumo di carne, pesce, latte ed uova un elemento imprescindibile per ottenere benessere e salute, sono disposti a mettere in discussione le proprie convinzioni e a permettere che il figlio compia quello che ai loro occhi appare come un grave errore alimentare.
Supponiamo pure che viviate da soli. Oppure che la vostra sia una felice e sana famiglia vegan. Oppure, ancora, che siate riusciti ad adattarvi in una famiglia non vegan, senza scendere troppo a compromessi, facendo accettare la vostra “diversità”. Ci saranno comunque innumerevoli altri ostacoli nella vostra giornata.
Siete costretti a mangiare fuori casa nella pausa-pranzo lavorativa? Diventa indispensabile organizzarsi la sera precedente per portarsi il pranzo da casa. Le altre soluzioni sono difficilmente praticabili. Soprattutto, preparatevi a sentirvi esclusi e derisi dai colleghi più sadici, che vi descriveranno con dovizia di particolari il gusto della bistecca rigorosamente al sangue che hanno mangiato.
Anche per gli spuntini fuori pasto diventa indispensabile un certo grado di autonomia. Se fortunatamente il vegan è abbastanza insensibile alle tentazioni del marketing alimentare proposto dai vari bar, è pur vero che bisogna essere pronti a fronteggiare gli attacchi di fame improvvisa. Abituatevi a portare con voi una barretta di semi di sesamo. Non sperate di trovare aperto un fornaio che vi venda una sana e calda focaccia con olio di oliva. Raffinatezze che ormai appartengono ad altre epoche!
Passiamo alle cene al ristorante con amici o colleghi. Affinché non si trasformino in un incubo, e non tremiate di fronte ogni portata che vi serviranno nel dubbio che possa contenere derivati animali, è consigliabilissimo ricorrere all’espediente più classico e subdolo che il vegan conosca: quello di far presente al cameriere, e soprattutto al proprietario, la propria grave allergia a tutti i derivati animali. Elencateli tutti, per carità: non sapete quanta ignoranza incontrerete nei vostri interlocutori che pure lavorano nel settore della ristorazione. E specificate il forte rischio per la vostra incolumità nel caso in cui accidentalmente doveste ingerire una piccola quantità di prodotti animali. Funziona. Garantito.
Causa di imbarazzo ed incomprensioni sono anche gli inviti a casa di amici. Con ogni probabilità vi troverete costretti a rifiutare buona parte di quanto vi verrà offerto in pasto. Informatevi su cosa esattamente vi viene offerto. Chiedete con insistenza e con domande precise: è incredibile constatare quanti ingredienti non vengono elencati in un primo momento. “Ma come? Nemmeno quello mangi?”: quante volte lo ascoltiamo!
Questa società non è fatta a misura di un vegan. E’ una società, invece, che incoraggia ed invita ad un consumo smodato di prodotti di origine animale. Lo fa per motivazioni culturali e storiche. Ma lo fa soprattutto per ragioni di tipo economico e commerciale.
Il business che soggiace allo sfruttamento animale è enormemente superiore a quello derivante dalla produzione agricola strettamente destinata all’alimentazione umana. Si precisa “strettamente destinata alla alimentazione umana” perché, qualora non ci abbiate mai riflettuto, è bene considerare che una porzione considerevole della superficie coltivabile del pianeta è destinato a coltivazioni finalizzate a produrre mangime per animali. Animali che saranno allevati, reclusi, ingrassati, torturati e macellati. Il tutto con uno spreco enorme di risorse per il pianeta. Con la stessa quantità di terra che serve, attraverso la produzione di mangime per il bestiame, a produrre un chilo di carne, sarebbe possibile ottenere una quantità circa dieci volte superiore di cereali o legumi destinabili direttamente all’alimentazione umana. Ancora più allarmante è la considerazione in merito all’enorme spreco di acqua imputabile all’allevamento. Parlo di business dello sfruttamento animale in senso molto lato. Vi è la grande ricchezza legata all’allevamento, alle cure veterinarie, al trasporto degli animali vivi, alla macellazione, al confezionamento della carne, alla vendita della stessa. Per non parlare, inutile nasconderlo, del business farmaceutico e delle cure mediche per le patologie che maggiormente affligono la moderna società occidentale, prime fra tutte le malattie cardiovascolari e i tumori, che come è ormai noto sono strettamente collegate al consumo di carne e grassi animali.
Lorenzo

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