domenica 11 luglio 2010

La visione femminile dell’ecologia - di Paola

La visione femminile dell’ecologia

Il movimento ecofemminista si sviluppa a partire dagli anni ’60 negli Stati Uniti, e si tratta di una concezione che istituisce un parallelismo tra lo sfruttamento delle donne e quello della natura, anzi li considera fenomeni speculari così strettamente legati da non poter essere compresi se non considerandoli congiuntamente, infatti secondo le teorie eco femministe il dominio sulle donne è legato concettualmente e storicamente al dominio sulla natura.

Dobbiamo considerare che la logica del dominio si è imposta a tutti i livelli delle relazioni sociali e personali, nella famiglia, nella politica, nel campo scientifico, nella distinzione fra i generi..insomma nel modo di rapportarci agli altri e con ciò che ci circonda. La logica del dominio implica una visione gerarchica del mondo in una serie di dicotomie: animato-inanimato, vegetale-animale, umano-non umano, maschile-femminile, razionale-irrazionale e così via. Al vertice di questa scala gerarchica regna incontrastata la figura dell’Uomo declinata esclusivamente al maschile. Da un punto di vista femminista la logica del dominio è il prodotto dell’androcentrismo ovvero del valore superiore e quasi assoluto attribuito nei secoli agli esseri umani di sesso maschile, che sarebbe poi l’essere umano per eccellenza, anzi l’unico essere umano degno di tale nome. L’androcentrismo potrebbe essere il risultato della psicologia maschile così come si è sviluppata nella lotta per la sopravvivenza e per l’affermazione di sé. Una spiegazione convincente è data da Carol Gilligan nel suo “In a Different Voice” nel quale spiega che l’identità di genere, che rappresenta il nucleo immutabile della personalità, rimane stabilmente fissata intorno ai 3 anni di età, età nella quale è prevalentemente la madre ad occuparsi dei figli; ed è per questo che mentre le bambine essendo accudite da persona del loro stesso sesso sono portate a viversi con meno differenziazione, il maschietto deve separarsi dalla madre rinunciando in parte all’oggetto primario d’amore ed al senso di legame empatico. La ragione è la facoltà a cui l’uomo attribuisce la propria superiorità anche nei confronti delle donne cui viene attribuita la prevalenza del sentimento. La ragione viene associata a tutto ciò che è mentale, imparziale, spirituale, oggettivo, pubblico, positivo e quindi maschile, mentre le emozioni sono legate a ciò che è parziale, fisico, soggettivo, debole, privato, opinabile e quindi femminile. Le donne nelle varie civiltà sono state prese in considerazione soprattutto per la loro funzione biologica necessaria alla conservazione della specie. La funzione generatrice della donna, con tutte le sue difficoltà e limitazioni, l’ha sempre avvicinata agli avvenimenti strettamente naturali, l’ha, per così dire, molto più legata rispetto all’uomo alla fisicità naturale dell’esistenza ed ha quindi reso facile e quasi istintivo il suo apparentamento agli animali. Esiste un parallelismo totale fra la convinzione degli uomini di avere diritto a dominare e sfruttare la natura e quella di avere il diritto di servirsi delle donne e non è un caso che la stessa parola mather (madre) abbia la stessa radice etimologica di matter (materia), ossia entrambe sarebbero da utilizzare. Nel suo libro “The Death of Nature” Carolyn Merchant analizza quella che chiama l’associazione millenaria fra donne e natura nell’intero corso della cultura, della lingua e della storia, osservando come questo abbinamento sia stato messo in rilievo da due movimenti sorti quasi contemporaneamente negli anni ’60-’70 ovvero il movimento femminista ed il movimento ecologista. L’idea della natura come madre-nutrice e l’analogo ruolo della donna sono sempre andati di pari passo. Si sono esaltate congiuntamente la capacità riproduttiva e nutritiva della donna e la fertilità della terra, assieme alla sua attitudine a produrre messi ed a creare nel suo grembo, paragonato a quello materno, pietre preziose e metalli rari. La tesi centrale della Merchant è un forte attacco alla scienza moderna ed alla rivoluzione industriale, nonché alla riduzione effettuatasi da Bacone in poi della natura in termini quantificabili, il che ne ha favorito lo sfruttamento. Anche secondo Vandana Shiva, fisica ed economista, direttrice del Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali di Dehra Dun in India): “L’immagine di una terra come madre che nutre rappresentava un vincolo culturale troppo forte per il suo sfruttamento, una terra vuota, invece, senza persone, di nessuno, ha permesso agli europei di descrivere le loro invasioni come scoperte, la pirateria e il furto come commercio, lo sterminio e lo schiavismo come missioni di civilizzazione”.

Tra le strategie per superare la subordinazione ai valori maschili o maschilisti figura in primo piano una nuova prospettiva etica, ovvero la così detta etica della cura, tipica secondo il pensiero femminista della natura e della psicologia femminili e per nulla inferiore a quella tradizionale maschile. Qui vorrei fare un piccolo inciso. Le prime rivendicazioni femministe erano orientate ad ottenere pari diritti per le donne, questo perché per molte la discriminazione delle donne era legata al fatto che leggi e consuetudini la ritenessero diversa e quindi inferiore all’uomo. Quindi appariva fondamentale che il movimento di emancipazione partisse dall’eliminare nelle leggi e nei codici di queste differenze. Negli anni il femminismo è cambiato ed a un certo punto non si è più rivendicata la totale uguaglianza fra uomo e donna, ma si è cominciato a rivendicare la differenza fra uomo e donna, differenza che non significa migliore o peggiore..ma semplicemente diverso. Esiste infatti una “voce diversa” che si ritrova nell’esperienza delle donne, questa voce per esempio non si chiede “quali principi debbano essere applicati” ma bensì “che cosa si deve fare in una determinata situazione per preservare ed aiutare i rapporti umani coinvolti”. Questa concezione dell’etica ruota attorno alla comprensione delle responsabilità e delle relazioni intersoggettive, mentre l’etica intesa come giustizia collega lo sviluppo morale alla comprensione dei diritti e delle regole.

La prospettiva della moralità intesa come giustizia e quindi basata sui diritti si basa su tre caratteristiche principali, tutte molto contestate dal pensiero femminista, esse sono: l’autonomia del self, la razionalità e l’imparzialità. Essere autonomi significa essere indipendenti nelle nostre scelte da qualsiasi influenza esterna,..questo può significare essere egoisti, valutare qualcosa solo in base a se stessi e non valutando “l’io” come parte di un “noi” . Con la Razionalità si presuppone una grande separazione fra ragione e passione, là dove la ragione è considerata associata a tutto ciò che è mentale, imparziale, oggettivo e quindi maschile e la passione sono considerate fisiche, parziali, soggettive e quindi femminili. Le femministe sostengono che le emozioni non sono solo un modo di sentire ma anche di conoscere, i valori del soggetto lo spingono verso ciò che è di suo interesse conoscere e lo influenzano nel suo percepire i fatti. E’ perciò assurdo separare nettamente razionalità e passioni. Ed infine l’imparzialità: essere imparziali significa trattare ogni interesse, ogni situazione con uguale interesse e nello stesso modo. Le teorie sull’imparzialità non tengono conto della natura sociale degli esseri umani e penalizzano tutte le attività femminili di caring, del prendersi cura, che sono rivolte ai bisogni specifici dei singoli nelle relazioni interpersonali.

In definitiva le femministe ai tre elementi autonomia, razionalità, imparzialità contrappongono l’interdipendenza, l’importanza dei sentimenti e l’attenzione alle singole situazioni. Questo è il significato, stringato ovviamente, del concetto femminile di etica della cura nel quale la caratteristica fondamentale consiste appunto nell’apertura verso l’altro, nel senso di appartenenza ad una rete di relazioni, nell’idea di non costruire steccati intorno all’io bensì di abbatterli. Trasportando questi concetti al rapporto dell’umano con il resto del mondo, si arriva facilmente a vedere come la terra ed i suoi abitanti non umani, non possano più essere pensati come qualcosa di estraneo da dominare, da usare ma bensì come un tutto di cui si fa parte e con il quale bisogna entrare in armonia. L’idea del caring ovvero del prendersi cura si allarga quindi fino ad abbracciare il mondo vegetale ed animale, senziente e non senziente addirittura fino a comprendere gli ecosistemi, ed in questo modo la riflessione femminista si congiunge all’ecologia. Ma in realtà c’è un motivo più profondo che oltre alla attitudine alla cura spinge il femminismo ad occuparsi della tutela della natura e dell’ambiente: occorre tornare all’origine, e cioè all’idea che sfruttamento delle donne e sfruttamento della natura sono due facce della stessa medaglia e sono dovute all’androcentrismo, ovvero all’assunzione dell’uomo maschio come l’essere superiore a tutto il resto, inferiore al massimo solo di Dio, di cui peraltro l’uomo si dice creato ad immagine e somiglianza. Questa superiorità gli concederebbe automaticamente il diritto al dominio sulle donne, gli animali, la natura, su qualsiasi cosa esistente. Esistono legami fondamentali, storici, di esperienza, simbolici e teorici, tra il dominio esercitato sulle donne e quello esercitato sulla natura, la stessa logica del dominio che viene usata per giustificare lo sfruttamento di vaste categorie di esseri umani non solo nel sessismo ma anche nel razzismo ed in altre forme di soggezione è stata e continua ad essere usata per dominare la natura. Le basi teoriche giustificative di ogni tipo di oppressione sono le stesse e quindi vanno combattute in blocco, perché dipendono tutte la solita causa: se ci si accontenta di contrastare solo una o alcune di queste forme di sfruttamento ma non tutte, il motivo originario ovvero l’androcentrismo, continuerà ad esistere pronto a riproporsi in ogni campo non appena le circostanze lo permettano. Per questo la lotta non può limitarsi a combattere il sessismo, il razzismo, lo sfruttamento degli animali ma deve comprendere tutto compreso preoccuparsi di bloccare il degrado ambientale e la distruzione del pianeta.

Una delle maggiori autrici ecofemmiste, Karen Waren, ha analizzato la cornice concettuale che ha portato alla visione gerarchica del mondo e quindi alle varie distinzioni tra chi sta sopra e chi sta sotto, tra chi ha il diritto di dominare e chi deve subire a causa della propria natura la supremazia altrui. Per cornice intellettuale si intende l’insieme di credenze, valori, attitudini ed assunzioni di base che determinano e riflettono l’idea che ciascuno si fa di se stesso e del mondo in cui vive, in pratica è come una lente costruita dalla società attraverso la quale noi percepiamo noi stessi e gli altri, una lente influenzata da molti fattori quali il genere, l’etnia, la classe, l’orientamento affettivo ecc Una cornice concettuale è oppressiva, cioè da origine a qualche tipo di oppressione, quando spiega, giustifica e mantiene qualche tipo di oppressione, quando spiega giustifica e mantiene delle relazioni di dominio e di sottomissione come nel caso appunto della visione patriarcale che giustifica il dominio dell’uomo sulla donna e sulla natura. Secondo la Warren sono tre le caratteristiche principali della cornice concettuale del patriarcato: la prima consiste nel modo di collocare il valore gerarchico usando la metafora spaziale del sopra e del sotto e ritenendo di maggior valore ciò che sta più in alto; la seconda caratteristica è quella di dividere gli esseri in due categorie che vengono contrapposte l’una all’altra in maniera disgiuntiva ed esclusiva cosicché determinati valori vengono attribuiti solo ad una delle categorie e non all’altra; la terza consiste nell’elaborare una struttura argomentativa la quale permetta la giustificazione del dominio. Questa è la caratteristica più interessante e discutibile perché non si tratta di una struttura logica, anche se ci cerca di farla apparire come tale, in quanto per farla funzionare sono necessarie una o più premesse valutative che vengono sottaciute o non esplicitate. Questo non significa che le strutture argomentative gerarchiche sono sempre sbagliate e da evitare, anzi spesso sono necessarie per classificare ed organizzare dati ed informazioni, ma diventano false e pericolose quando si introducono surrettiziamente delle premesse valutative. L’esempio che fa la Warren è questo:

1) gli esseri umani a differenza degli alberi hanno la capacità di trasformare in maniera consapevole e radicale la società nella quale vivono

2) gli esseri che hanno tali capacità sono moralmente superiori agli altri

3) quindi gli esseri umani sono moralmente superiori agli alberi

4) se un essere è moralmente superiore è giustificato a subordinarlo e dominarlo

5) gli uomini sono moralmente giustificati a dominare gli alberi.

Ovviamente senza l’assunto, non dimostrato e quindi non per forza vero, che sapendo trasformare la società si è moralmente superiori e che una presunta superiorità morale da diritto alla dominazione, non si può giustificare la dominazione dell’uomo sulla natura.

Trasportando l’esempio alla visione patriarcale abbiamo che la superiorità dell’uomo e quindi il suo diritto a sottomettere la donna è giustificato dal fatto, per niente dimostrato, che la natura e fisicità con cui si identifica la donna sia moralmente inferiore alla ragione e l’attività mentale con cui si identifica l’uomo.

Concentrare la riflessione e di conseguenza la pratica di lotta, nei confronti dell’androcentrismo amplia il concetto dell’ecologia profonda che rappresenta il primo passaggio da una concezione antropocentrica ad una concezione biocentrica. Ovvero da una concezione nella quale l’uomo è il centro e la natura, animali non umani compresi, sono ad esso assoggettati e rappresentano per l’uomo una risorsa da preservare in quanto a lui utile ad una concezione dove animali umani e non umani e natura sono parte di una stessa rete dove tutti sono collegati ed interdipendenti fra loro ed è quindi fondamentale ristabilire un rapporto solidale con gli altri animali e la natura. L’eco femminismo introduce l’ulteriore volontà di smantellare alla radice l’ideologia del dominio frutto della psicologia maschilista. Perché parlare solo di biocentrismo senza considerare le differenze di genere significa riaffermare sotto altra veste il patriarcato e quindi riproporre in una veste diversa il solito schema di dominio. In molte espressioni dello sfruttamento animale, che per gli ecologisti profondi andrebbero solo modificate e non necessariamente eliminate, è possibile distinguere i caratteri dell’androcentrismo. E qui si rimarca anche la differenza spesso incolmabile tra gli ambientalisti, anche se fautori dell’ecologia profonda, e gli animalisti. Per esempio per molti ecologisti la caccia è totalmente compatibile con la protezione ambientale, la dove venga svolta nel rispetto della natura e degli ecosistemi è addirittura utile per mantenere un equilibrio fra le diverse specie. Ma è appena il caso di rimarcare che quando la caccia non è svolta per la propria sopravvivenza non è che la rappresentazione tipica dell’affermazione maschilista ovvero l’affermazione della propria forza attraverso l’uccisione di un altro essere. E non è un caso che, anche se i tempi stanno un po’ cambiando, la caccia sia attività tipicamente maschile.

Anche nella vivisezione e nella ricerca scientifica possiamo notare non solo la crudeltà e le sofferenze provocate agli animali, non solo la logica per la quale l’animale possa essere torturato in nome di un non ben identificato e credibile benessere umano, ma possiamo fare anche dei parallelismi tra questa forma di violenza estrema e l’eccessiva medicalizzazione compiuta dalla medicina e dalla chirurgia sul corpo della donna.

Riguardo al mangiare carne l’ecofemminismo è orientato, come meglio spiegherà un’altra compagna, al veganismo, ovvero al rifiuto di nutrirsi prodotti derivati dall’uccisione e dallo sfruttamento degli animali. A parte la considerazione per le condizioni a dir poco tragiche degli animali negli allevamenti e quindi l’estrema urgenza di fermare tutto questo, bisogna considerare due aspetti che accenno solo perché verranno spiegati meglio dopo, ma è giusto per terminare la mia panoramica. Intanto come ci ricordano molte pubblicità “la carne è il vero cibo per i veri uomini” ed in effetti, ora meno perché sono migliorate almeno in occidente le condizioni delle famiglie, ma la carne è vissuta come alimento soprattutto maschile mentre le femmine sarebbero più portate alle verdure. Ma a parte questo, perché poi in realtà per il fatto di trovarci la carne nel piatto siamo tutti colpevoli a prescindere dalle differenze di genere, bisogna notare come la trasformazione di un essere senziente in carne venga effettuata anche a livello linguistico con il risultato di cancellare dal discorso l’esistenza stessa dell’animale che diventa il referente assente esattamente il processo di reificazione che trasforma la donna in oggetto sessuale e quindi a disposizione dell’uomo.

Con questa breve panoramica ho voluto solo dare una alcuni spunti di riflessione e spero di dibattito, spunti di riflessione volti a cercare di individuare la base fondante dell’odierna società, una società fortemente gerarchica e quindi profondamente ingiusta dove la devastazione ambientale, lo sfruttamento di interi popoli e la tortura di miliardi di animali sono talmente radicati e tragici da imporci un completo ribaltamento dell’esistente. Penso che riconoscere nell’androcentrismo e nella logica del dominio che ne consegue il nemico nascosto da abbattere ed al tempo stesso facendolo in un’ottica femminile possa essere una valida chiave di volta.

Nessun commento: