E’ per me un compito estremamente arduo accingermi a parlare di Osho, ed ancor più con l’intento di accostarlo in qualche modo al movimento antispecista. Osho non è una religione, né una filosofia, né una corrente di pensiero. Essere discepolo di Osho non equivale ad appartenere ad alcun tipo seppur vago di organizzazione. Si tratta semplicemente di un rapporto personale tra Maestro e discepolo.
Osho per me è il salto nel vuoto, dalla sfera razionale a quella mistica, dalle discussioni al silenzio, dall’umano al divino.
Ma procediamo con ordine.
Osho innanzitutto è stato una persona in carne ed ossa nata in India nel 1931. Un indiano, quindi, che all’età di 21 anni raggiunge l’Illuminazione, ed alla fine degli anni Cinquanta inizia a tenere conferenze a platee anche di centomila persone. E’ professore di filosofia, ma dall’inizio degli anni Sessanta comincia a tenere campi di meditazione. E ad attrarre un numero sempre maggiore di persone. Dalle folle che ascoltano i suoi discorsi emergono i primi discepoli. E moltissimi iniziano ad arrivare dall’occidente.
Intorno a Osho sorge un grande “Ashram”, o comunità spirituale, a Puna (India). Attraverso molte peripezie questo Ashram esiste ancora, a quasi vent’anni dalla sua morte.
Osho ha parlato moltissimo, e i suoi discorsi sono stati registrati, trascritti e pubblicati. Non ha lasciato dogmi, comandamenti o precetti scritti. Più che con le parole, ha comunicato ai suoi discepoli attraverso l’energia ed il silenzio. Come definirlo? Un Maestro Spirituale? Un Buddha? Oppure un guru, come usavano dire di lui i media quando era all’attenzione dell’opinione pubblica (il “Guru del sesso”, o anche il “Guru delle Rolls-Royce”).
Io sono un “sannyasin”, un cosidetto discepolo. Non posso che offrire la mia visione parzialissima e personalissima. Troppo coinvolto, troppo in amore con colui che per me non è stata una persona. Osho per me è stato un avvenimento, un evento cosmico che si è manifestato sulla Terra. Ha avuto un suo inizio, una durata e una fine, come è nel corso naturale delle cose.
La sua energia è stata potente. A quasi vent’anni dalla sua scomparsa è ancora possibile immergersi nella fragranza della sua scia.
Il rapporto tra Maestro e discepolo è un fenomeno complesso, ma per semplificare dirò che per me è una storia d’amore, “la” storia d’amore che ha trasformato e riempito di magnificenza la mia vita.
Osho e il vegetarismo.
Consapevolezza, attenzione, meditazione. Questi termini possono essere considerati sinonimi, e sono il fulcro del messaggio di Osho. Parlando di lui non ha senso riferirsi ad una morale, a un’etica o a una filosofia. La cosidetta ragione o razionalità danno vita al sapere intellettuale, ma per accedere alla conoscenza di cui parlano i Maestri occorre un salto quantico.
Un atto virtuoso compiuto inconsapevolmente non è realmente virtuoso. E non è possibile commettere un atto non virtuoso se l’agire proviene da uno spazio di meditazione, consapevolezza, attenzione.
La stragrande maggioranza delle persone vive perennemente nell’inconsapevolezza. Il Maestro è semplicemente colui che è consapevole, ed irradia all’esterno questa energia, questa fragranza che può essere solo sentita, non compresa dalla mente.
Da questo presupposto si possono dedurre molte cose. La consapevolezza deve essere presente in ogni atto della vita, in ogni particolare. Ad esempio nell’alimentazione. Come può una persona consapevole cibarsi di un animale ucciso, quando sa di avere a disposizione abbondanza di meraviglioso cibo vegetariano? E’ semplicemente impossibile. E non si tratta di una scelta etica, di un’obbedienza ad un precetto spirituale, e neppure del risultato di un ragionamento. Una persona consapevole prova un naturale ed immediato disgusto alla vista di un piatto di carne o di pesce. Vede la cosa per quella che è: un essere vivente è stato ucciso, il suo cadavere sta per essere mangiato. E non prova disgusto perché uccidere è male. No. Prova disgusto perché si imbatte in qualcosa di disgustoso, e come uno specchio lo riflette, semplicemente.
Osho era vegetariano, e non ha mai permesso che cibo non vegetariano fosse cucinato all’interno del suo Ashram. Tuttavia non ha mai comandato alcunchè ai suoi sannyasin. Non ha mai detto: non mangiate carne. Oppure: siate vegetariani. Ha sempre e solo incitato ad avere sempre più consapevolezza in qualsiasi momento della vita quotidiana. Quindi mangia pure la carne, ma mentre mangi sii consapevole. Il paradosso è: se la persona è davvero consapevole, la carne non la mangerà.
"Puoi mangiare carne e meditare. Puoi mangiare carne ed amare, ciò non ha nulla a che fare nemmeno con l'amore. Ma una cosa mostrerai di te: che sei molto immaturo, molto primitivo; che sei ignorante, incivile, e non hai alcun senso di come la vita dovrebbe essere."
Osho, The Diamond Sutra - Discorso n. 6.
Osho e l’antispecismo.
Osho richiama costantemente i suoi discepoli alla consapevolezza: dei propri pensieri, dei propri sentimenti ed emozioni, del corpo; e delle relazioni con le altre persone e con l’ambiente che ci circonda.
Una persona consapevole è in armonia, e vive in un rapporto di empatia profonda con la Natura.
Tutto è Uno, ogni cosa è sacra, ma non perché una Bibbia o un Corano la definiscano tale.
La persona consapevole riconosce naturalmente la presenza del divino, del sacro, del bello (del Tao, Dhamma, Logos, Dio, si possono usare un’infinità di termini diversi) in ogni essere umano, in ogni animale, in ogni pianta, in ogni sasso.
Da questo presupposto mi sembra possibile accostare Osho all’antispecismo.
L’idea che l’uomo possa in qualche modo ritenersi superiore alle altre specie è frutto della stupidità dell’ego. Non provare naturalmente rispetto, non sentirsi in comunione con gli altri esseri viventi significa solo non essere consapevoli. Arroganza, violenza, avidità, indicano che la persona è assente, profondamente addormentata, vive come in un sogno.
L’antispecista per me è semplicemente colui che sente rispetto per tutto ciò che lo circonda. E mette in pratica questo suo sentire nella propria vita quotidiana. Nell’alimentarsi, sceglierà quei cibi che non implichino lo sfruttamento e l’uccisione degli animali. Nel vestirsi, eviterà la pelle, le pellicce e quanto altro. Se dovrà acquistare un prodotto, gli interesserà sapere se è stato prodotto sfruttando o danneggiando degli esseri viventi. Nell’usarlo, si preoccuperà di quanto possa essere nocivo per l’ambiente. Se vorrà divertirsi, non gli verrà proprio in mente di andare al circo o allo zoo, a caccia o a pesca. E così via.
Consapevolezza, attenzione, cura. Rispetto assoluto per la vita.
Nessuno è superiore o inferiore. Semmai, c’è chi è sveglio e chi non lo è, ma questo non è un giudizio, ed essere addormentati non è una colpa ma una libera scelta.
Ed è l’uomo profondamente addormentato che combatte mille e una guerra, che sfrutta, uccide, viviseziona, depaupera, inquina, distrugge.
Come sannyasin, come discepolo e devoto di Osho, non posso che riconoscere nei valori antispecisti il richiamo alla consapevolezza di tutti i Maestri Illuminati. In fondo, si tratta di valori molto semplici, persino ovvii, banali: il rispetto per gli esseri viventi, l’amore e la cura per l’ambiente, il vivere in armonia ed empatia con la Natura. Eppure persino molti ricercatori spirituali non sono vegetariani, moltissime brave persone portano i figli allo zoo o a pescare, c’è un disinteresse, una violenza, un disprezzo costante e continuo verso la vita. Per questo c’è bisogno delle parole dei Maestri, dell’impegno degli antispecisti, della presa in carico da parte di ognuno di noi della responsabilità di essere sempre più svegli, attenti, consapevoli.
Semplici Esseri Umani.
"Ogni volta devo dire sempre la stessa cosa. Ogni giorno, non dico una cosa che sia nuova.
La verità è molto semplice, e può essere detta in poche frasi. Ma se voi non ascoltate, dovrò dirla di nuovo. E poi di nuovo ancora."
Osho, Philosophia Perennis, vol. I – discorso n. 7
Massimo Kumar Carola